3 gennaio 1954, nasce la televisione

di Antonio

Come ha cambiato il Paese

Trasmissioni Sperimentali “Radiovisione”

Cos’è la Televisione oggi? una “cosa” vecchia, ormai superata da telefonini, smartphone, computer. Ma quando nacque, nel 1954, fu qualcosa di rivoluzionario; cambiò il nostro modo di vedere, di pensare, il mondo che entrava in casa nostra, la diffusione di una lingua unitaria. Era una domenica mattina di Settant’anni fa. Gli ingegneri Banfi e Bortolotti, i «padri» della TV italiana, erano ansiosi. A Torino il trasmettitore del Colle dell’Eremo funzionava bene, così come quello di Corso Sempione a Milano, e quello di Monte Mario a Roma. Le Apparecchiature erano Americane della General Electric. Bisognava però aspettare il momento dell’inaugurazione per sciogliere ogni dubbio. A Milano, negli studi dell’«Uri», divenuta poi «Eiar», (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche), avevano tenuto le prime prove di trasmissione a distanza dell’immagine. In quegli anni, a Torino e a Milano, c’era un grande fervore attorno a questo nuovo strumento: bisognava formare i tecnici, gli artisti, i dirigenti. E pensare a cosa trasmettere. Alle ore 11 del 3 gennaio 1954, con tre cerimonie inaugurali (Milano, Torino e Roma), iniziano ufficialmente le trasmissioni della Rai, Radio Audizioni Italiane. L’annunciatrice Fulvia Colombo pronuncia le prime parole: «La Rai, Radiotelevisione Italiana, inizia oggi il suo regolare servizio di trasmissioni televisive». Alle 14,30 va in onda il primo programma: «Arrivi e partenze», condotto da Mike Bongiorno. Quel giorno gli abbonati sono 90, dopo un anno 90mila. Nel 1954 l’Italia era un Paese povero, con un alto tasso di analfabetismo, e siccome un apparecchio televisivo costava più di 260.000 lire (un salario “medio” era di circa 40mila) l’avvento della TV fu per pochi. Per fortuna c’erano i bar, le osterie, gli oratori, che cambiarono la “visione” in un momento di incontro sociale. Il televisore era posizionato su un treppiede con una scritta: «Consumazione obbligatoria», e un’altra che intimava: «Non toccate la televisione»; la televisione, non il televisore. A Magnago il giovedì pomeriggio i ragazzi si recavano a casa del parroco per vedere “La tv dei Ragazzi”: «Ivanhoe», «Le avventure di Rin Tin Tin», «Il Club di Topolino»,mentre gli adulti il giovedì sera riempivano ùl Cìrcul per vedere «Lascia o raddoppia?». Di lì a poco, però, grazie al successo di «Lascia o raddoppia?» negli spazi pubblici, pure nelle sale dei Cinema, la TV si affermò come strumento della cultura popolare. Il fascino della TV attirava storici, studiosi della lingua, sociologi. La sezione spettacoli viene affidata a uno scrittore, Sergio Pugliese, mentre quella dell’informazione viene affidata ad un giovane cronista, Vittorio Veltroni.

La prima annunciatrice Fulvia Colombo

All’inizio la Rai è più avanti del suo pubblico (l’analfabetismo era la metà della popolazione), poi l’offerta televisiva è in sincronia con il «sapere» degli spettatori; infine, quella attuale con la più grande rivoluzione della comunicazione: il passaggio dall’analogico al digitale. Alle origini c’erano le inchieste di Mario Soldati, Ugo Zatterin, Sergio Zavoli, i varietà di Falqui, i quiz di Mike Bongiorno, il grandioso progetto di «Non è mai troppo tardi»,il «Corso di istruzione popolare per il recupero dell’adulto analfabeta», tenuto dal maestro Alberto Manzi. In quegli anni la TV guidava e trainava. Il giovedì sera, si usava fra le famiglie che potevano permettersi il televisore, invitare i vicini, con sedia di scorta, a vedere «Lascia o raddoppia?» e i sceneggiati (oggi chiamati fiction):

Il cartello sopra la porta: «Assistendo alle Trasmissioni TV è obbligo Consumare»

I promessi Sposi di Manzoni, I Miserabili di Victor Hugo, l’Odissea di Omero.

La pubblicità inizia nel 1957, dura solo 10 minuti ed è in uno spazio che si chiama «Carosello».

Il televisore nella sala del cinema.

Dal 1961 inizia le trasmissioni anche il Secondo Canale Rai. Arriva poi l’epoca dei programmi che tutti vedevano, ne parlavano, e ne erano condizionati: «90° minuto», «Portobello», «Quark», «Domenica in». È il momento in cui la TV tende a unificare i pensieri di un’intera nazione. Un esempio: quando a «Portobello», nel 1978, un tramviere propone di spianare il Colle del Turchino per creare una corrente d’aria in grado di spazzare via la nebbia in Val Padana, l’idea è dibattuta in ogni luogo, dai bar alle università. Dal 1977 la TV trasmette a colori. Nel 1979 nasce il Terzo Canale Rai. L’offerta è ormai grande (arriva il satellite, la pay tv) e solo la parte più anziana della gente vive la TV come unico rapporto col mondo. Abbondano le fiction, si mira all’audience, le TV private attirano un pubblico più giovane e social.  I canali aumentano, arrivano le grandi serie americane (Dallas, Dynasty). Molte trasmissioni amano la cronaca nera, i delitti occupano i palinsesti, diventano rubriche fisse. A un certo punto pare che la «vecchia tv» fosse morta, soffocata dalle grandi piattaforme di distribuzione, la visione in streaming avrebbe «ucciso» i vecchi modelli, cioè la TV dei tg, dei talk show. In realtà, la TV si rinnova (tutte le reti hanno il digitale), è percorsa dal cambiamento: ci si rivolge al digitale come lingua e al web come piattaforma distributiva. Si parla di ritorno dei giovani, si tratta di un rito regolato non più sulla società ma sui «social». La TV attrae il mondo social con contenuti forti; ha una quantità di trasmissioni, e varia la sua offerta (Festival di Sanremo, Amici, X Factor ), eventi di cronaca e di sport. La grande influenza che la televisione ha avuto e ha sulla cultura popolare è rappresentata dalla sua presenza nella vita quotidiana: è visione e insieme esperienza vissuta, è flusso continuo di contenuti e di emozioni. Settant’anni fa, come oggi.

Tratto dal Corriere della Sera, 31/12/2023.