Il Canto degli Italiani: Inno Nazionale della Repubblica Italiana

di Antonio

Durante le ricorrenze nazionali del 4 novembre, 25 aprile, 1° maggio, 2 giugno, viene eseguito l’Inno Nazionale della Repubblica Italiana, Il Canto degli Italiani, conosciuto anche come Fratelli d’Italia o Inno di Mameli. Dopo la seconda guerra mondiale l’Italia diventò una Repubblica e il Canto degli Italiani fu scelto, il 12 ottobre 1946, come Inno Nazionale provvisorio, rimanendo di fatto Inno della Repubblica; fino ad arrivare alla legge nº 181 del 4 dicembre 2017, che ha dato al Canto degli Italiani lo status definitivo di Inno Nazionale.

Il Canto degli Italiani è un canto risorgimentale, scritto il 10 settembre 1847 dal patriota genovese Goffredo Mameli e musicato a Torino da un altro genovese, Michele Novaro, il 24 novembre 1847.

Nato in un clima di ardore patriottico che preludeva alla guerra contro l’Austria, l’Inno presenta numerosi riferimenti storici del passato, che richiedono una lettura attenta per una corretta comprensione del testo. Noi tutti conosciamo l’Inno, ma probabilmente non al completo; generalmente si canta solamente la prima strofa, ma quelle scritte da Goffredo Mameli sono cinque. Ecco le spiegazioni, strofa per strofa.

1) Fratelli d’Italia / L’Italia s’è desta, / Dell’elmo di Scipio / S’è cinta la testa.

Publio Cornelio Scipione, detto l’Africano, fu il generale romano vincitore dei Cartaginesi nel 202 a. C. a Zama (attuale Algeria); la battaglia decretò la fine della Seconda Guerra Punica, con la vittoria dei Romani. L’Italia, ormai pronta alla Guerra d’Indipendenza dall’Austria, si cinge la testa dell’elmo di Scipione come richiamo simbolico alle gesta eroiche degli Antichi Romani.

Dov’è la Vittoria? / Le porga la chioma, / Ché schiava di Roma / Iddio la creò.

Si riferisce all’uso antico di tagliare i capelli alle schiave per distinguerle dalle donne libere, le quali all’opposto, tenevano i capelli lunghi. La dea Vittoria raffigurata come una donna dai lunghi capelli, deve quindi porgere la chioma perché le venga tagliata in segno di sottomissione a Roma: il senso della quartina è la certezza di Mameli che, in caso di insurrezione contro gli Austriaci, la Vittoria non potrà che essere degli Italiani perché è il destino che così vuole.

Ritornello.  Stringiamci a coorte / Siam pronti alla morte / L’Italia chiamò.

La coorte era un’unità da combattimento dell’Esercito Romano, composta da 600 uomini: era la decima parte di una legione. “Stringiamci a coorte” vuole essere un’esortazione a presentarsi senza indugio alle armi, a rimanere uniti, pronti a morire, per la liberazione dall’oppressore straniero.

2) Noi siamo da secoli / Calpesti, derisi, / Perché non siam popolo, / Perché siam divisi.
Raccolgaci un’unica / Bandiera, una speme: / Di fonderci insieme / Già l’ora suonò.   Rit.

Si tratta di un richiamo al desiderio di raccogliersi sotto un’unica bandiera; speranza (speme) di Unità e di Ideali comuni per un’Italia, quella del 1848, ancora divisa in sette Stati (Regno Lombardo-Veneto, Granducato di Toscana, Ducato di Parma, Ducato di Modena, Stato Pontificio, Regno delle due Sicilie, Regno di Sardegna).

3) Uniamoci, amiamoci, / l’Unione, e l’amore / Rivelano ai Popoli / Le vie del Signore;

Giuriamo far libero / Il suolo natìo: / Uniti per Dio / Chi vincer ci può?   Rit.

Mameli era un mazziniano convinto e qui interpreta l’Ideale di Mazzini, fondatore della “Giovine Italia”: quello di arrivare, attraverso l’unione di tutti gli Stati Italiani, alla realizzazione della Repubblica. Qui “Uniti per Dio” significa “attraverso Dio”, inteso come sostenitore dei popoli oppressi.

4) Dall’Alpi a Sicilia / Dovunque è Legnano,

La battaglia di Legnano, del 1176, è quella in cui la Lega Lombarda, al comando di Alberto da Giussano, sconfisse il Barbarossa. A seguito della sconfitta, l’Imperatore fu costretto a scendere a patti con le città lombarde, a cui seguì nel 1183 la pace di Costanza in cui riconobbe le autonomie cittadine.

Ogn’uom di Ferruccio / Ha il core, ha la mano,

Il riferimento è all’eroica difesa della Repubblica di Firenze assediata dall’esercito imperiale di Carlo V d’Asburgo nel 1530. Nel corso dell’assedio, il capitano Francesco Ferrucci ferito gravemente e catturato, venne finito da Fabrizio Maramaldo, un mercenario, nome diventato sinonimo di “vile”, al quale Ferrucci rivolse le parole: “Tu uccidi un uomo morto”.

I bimbi d’Italia / Si chiaman Balilla,

Il richiamo a tutte le genti d’Italia è al valore e al coraggio del leggendario Balilla, il simbolo della rivolta popolare di Genova contro l’alleanza austro-piemontese: si tratta del soprannome del fanciullo che il 5 dicembre 1746, con coraggio scagliò una pietra contro un ufficiale, dando l’avvio alla rivolta che portò alla liberazione della città.

Il suon d’ogni squilla / I Vespri suonò.   Rit.

Significa “il suono di ogni campana”. Il fatto fa riferimento ai “Vespri Siciliani”: quando la Sicilia insorse al dominio angioino (francese). All’ora dei Vespri del lunedì di Pasqua del 30 marzo 1282, tutte le campane si misero a suonare per sollecitare il popolo di Palermo all’insurrezione.

5) Son giunchi che piegano / Le spade vendute: / Già l’Aquila d’Austria / Le penne ha perdute.  Il sangue d’Italia, / Il sangue Polacco, / Bevé, col cosacco, / Ma il cor le bruciò.   Rit.

L’Austria degli Asburgo (l’Aquila a due teste era il simbolo imperiale) era in declino; “le spade vendute” sono le truppe mercenarie, deboli come “giunchi”, e Mameli chiama un’ultima volta a raccolta le genti italiche per dare il colpo di grazia al dominio austriaco con un’analogia con la Polonia. Tra il 1772 e il 1795, l’Impero austro-ungarico, assieme alla Russia (il “cosacco”) aveva invaso la Polonia. Ma il sangue dei due popoli oppressi, l’italiano e il polacco, si fa veleno, che brucia il cuore dell’Aquila d’Austria.

Fu Giuseppe Verdi a legittimare l’Inno di Mameli come Canto degli Italiani, quando lo eseguì nel 1862 all’Esposizione Universale di Londra, invece di eseguire la Marcia Reale. 

Tratto da: https://www.quirinale.it/page/inno