Attorno al 1605 fu consacrato a Bienate un piccolissimo Oratorio, voluto dalla nobildonna Gerolama Della Croce Sansoni nella sua casa di campagna a Bienate.
L’Oratorio sorgeva tra le vie Vittorio Veneto e Leonardo da Vinci. Donna Sansoni, nel 1618, con il lascito di 240 pertiche di terra, case civili e coloniche, costituiva il Beneficio di San Francesco d’Assisi, e nello stesso anno I‘Oratorio fu dato in Beneficio ai Padri della Madonna della Fontana di Milano, i quali officiarono nell’Oratorio per molti anni. Alla morte di Gerolama Della Croce Sansoni, nel 1622, gli eredi ebbero numerose discussioni con i frati, fino a far cessare la celebrazione delle messe.
Nel 1818 cappellano di San Francesco era don Giuseppe Baglioni: si deduce dalle quietanze rilasciate al Comune di Bienate per le Messe in Aurora.
Dal 1876 la Fabbriceria Parrocchiale iniziò a reclamare il diritto per I’osservanza degli oneri, e nel 1898 la Fabbriceria rivendicava del tutto I’Oratorio di San Francesco d’Assisi; ma i nuovi proprietari, certi De Tomasi di professione mugnai, si rifiutarono. Lo stabile, che aveva un’entrata sulla strada pubblica e un campanile con campana, possedeva i requisiti necessari per essere adibito a culto, ma era diventato ormai fatiscente.
Il parroco di Bienate, ritenendo un diritto della comunità il ripristino del luogo sacro, si rivolse all’Autorità Costituita per riottenere la possibilità di celebrare nella chiesetta; il Sindaco impose ai proprietari di eseguire le necessarie opere, perchè Io stabile così come si trovava era pericoloso e inagibile, in modo che potesse essere riconsegnato alla parrocchia. I De Tomasi si rifiutarono di provvedere ai necessari lavori e in segno di protesta, sbarrarono la porta della chiesetta impedendo l’ingresso al Parroco e alla popolazione. Si dovette a questo punto iniziare una Causa Giudiziaria che terminò con la condanna dei De Tornasi e con I’ingiunzione di ripristinare lo stabile e di renderlo di nuovo atto all’uso a cui era destinato. La sentenza definitiva si ebbe il 18 maggio 1899, e la Fabbriceria riuscì a ottenere il diritto di tornare ad amministrare il culto. L’Oratorio potè essere restituito alla liturgia con una solenne funzione religiosa il 25 giugno del 1899, e si tornò a celebrare solennemente la Santa Messa nella chiesetta di San Francesco D’Assisi nuovamente restituita alla devozione.
Come risulta sul Liber Cronicon della Parrocchia: “Sentenza emanata del Regio Pretore di Cuggiono in data 18-03-1899: “Avendo i convenuti spogliata Ia Fabbriceria dal possesso dell’Oratorio di San Francesco, mediante la chiusura della porta che mette sulla strada pubblica, devono quindi reintegrare la Fabbriceria stessa del suo primitivo possesso, (…) Condannasi i convenuti De Tomasi a rifondere le spese tutte di lite che si liquidano in lire 750 (…)”.
Si potè così continuare nelle celebrazioni dei riti, ma nel 1903, a seguito della separazione delle proprietà, uno dei fratelli De Tomasi trasformò l‘oratorio in casa ad uso abitazione.
La storia si ripete: Buca il muro e occupa la chiesa
La storia dell’Oratorio di San Francesco non è un caso isolato; abbiamo visto come dopo lunghe dispute tra la Curia e alcuni Privati che si erano impossessati dell’Oratorio, questo sia “scomparso”, nascosto da una casa d’abitazione. Evidentemente la storia si ripete, queste dispute succedono ancora oggi. Vediamo cosa è successo a Lecce.
La signora Grazia abita nel centro di Lecce, in uno stabile che confina con la chiesetta di Sant’Antonio Abate. Solo un muro divide la casa della signora dalla Casa del Signore. La chiesa non è sconsacrata: è un bene appartenente alla Diocesi fin dal 1600. È successo che un giorno la signora ha pensato di allargarsi; ha il contratto di acquisto della sua casa che indica anche “eventuali diritti sulla cappella”. In chiesa non c’è mai nessuno, e allora comincia a martellare per aprire un buco. Il buco diventa magicamente una porta e la cappella viene “conquistata” dall’interno senza spargimento di calcinacci. Diventa un prolungamento del tinello, o del salotto; e l’altare? È rimasto o è stato sostituito da una tv?
Un giorno si presenta un prete della Diocesi, ignaro che la signora ha chiuso la porta della chiesa inchiodandola, dall’interno, con assi di legno. Giusta precauzione, nel caso qualche malintenzionato sacerdote avesse tentato di intrufolarsi per dire due preghiere, o addirittura celebrare messa. Il don gira la chiave ma niente da fare. Allora va a riferire al Vescovo: «Eccellenza, Sant’Antonio Abate è sbarrata!». A quel punto sorge un sospetto: «La nostra vicina di chiesa non si sarà presa a tradimento la cappella?». La Diocesi l’aveva un po’ abbandonata, ma diventare pertinenza di una casa civile, ce ne passa! Allora via con le carte bollate! La signora non cede, la faccenda si complica, e intanto chissà cosa succede là sotto il Crocefisso: arriverà l’odore dei fritti?, e la condensa del minestrone? Il processo iniziò nel 2005, quando la Diocesi decise di riaprire quel piccolo luogo religioso. Gli accertamenti catastali e planimetrici hanno chiarito che la cappella era di proprietà del Vescovo, e che quella porta era abusiva. Si va in tribunale e la signora perde. In secondo grado (2018) soccombe ancora, ma la porta resta sbarrata e si va in Cassazione. Il 15 novembre 2022 il giudizio finale: «La chiesa è di proprietà della Diocesi di Lecce» (…) «Chi rivendicava la proprietà dell’antico luogo di culto, risalente al 1600, non ne ha dimostrato il reale possesso, non ha mai provveduto ad alcun intervento di manutenzione. Né mai si è “lamentata” quando la Diocesi, ogni settimana, ha usato le sue mura esterne, per l’affissione dei manifesti religiosi».
La Corte Suprema dice che l’usucapione è improponibile e la spettanza della chiesa alla Curia è provata «da numerosi documenti risalenti nel tempo». La Corte Suprema stabilisce anche un precedente giuridico: «non si possono conquistare le chiese sfondando il muro di confine». La signora ha schiodato la porta? Sant’Antonio Abate è tornata all’ovile? «No». La partita non è ancora chiusa.
(da Corriere della Sera del 2-12-2022)