La Pedagogia dell’Esempio

Dieci gennaio 2023, un video accompagna le parole di Papa Francesco con le immagini di una storia ambientata in una scuola. Un ragazzo, emarginato dai suoi compagni durante le partite di calcio, rimane da solo in un angolo fino a quando un insegnante, che si accorge del suo disagio, decide di prendersi cura di lui. Non lo fa con le parole, ma con la sua testimonianza di vita: si ferma con lui, giorno dopo giorno, e con passione e costanza gli insegna a giocare. Fino a quando, una mattina, lo ritrova insieme a quegli stessi compagni che prima lo avevano emarginato: sta giocando con loro e, quando segna il suo primo gol, lo dedica proprio all’insegnante, al testimone credibile che lo ha aiutato. Quando penso alla figura dell’Educatore, subito mi viene in mente l’immagine di qualcuno che vuole il mio bene e che in qualche modo si prende cura di me testimoniando credibilmente ciò che lui stesso, per primo, ha incontrato e vissuto.

Il beato don Pino Puglisi era questo, parlava poco ed agiva tanto. Fu assassinato dalla mafia a Palermo il giorno del suo 56esimo compleanno, il 15 settembre 1993 ed elevato agli onori degli altari dalla Chiesa in odium fidei.

Da tre anni era parroco al quartiere Brancaccio e dava fastidio alla mafia in quanto mediatore nel quartiere, di un processo di incarnazione del Vangelo sul territorio. Don Puglisi non ha improvvisato nulla, il suo metodo non consisteva nel togliere i bambini dalla strada come molti dicono, alla base del metodo di don Pino c’è un lungo studio il cui fulcro era il Vangelo. Tutto inizia con l’ascolto, l’empatia e una “competente spontaneità”, don Pino è stato un animatore e un educatore, animatore nel senso che tirava fuori l’anima.

È inutile parlare ai giovani di valori se non li si testimonia in prima persona perché è solo così che i giovani riconoscono che le parole corrispondono ai fatti.
Egli diceva “Una vita è valida se è donata”: gli educatori per essere efficaci devono essere testimoni e dare l’esempio.
I ragazzi non ne possono più di adulti che dicono loro cosa devono fare, ma sono disposti a seguire chi mette in pratica le cose che dice. La teoria rende tutti parolai, la pratica rende tutti credibili e validi testimoni, ed è importante che l’educatore sia credibile nel dire “Ce la possiamo fare”, non “Ce la possono fare” e nemmeno “Ce la potete fare”.

Al Brancaccio don Puglisi non è stato il prete rivoluzionario urlante, il prete antimafia, ma quello che leggeva i bisogni della sua Comunità. Collaborò molto con gli assistenti sociali, il fulcro della sua azione consisteva nel dimostrare ai piccoli che i beni reali erano altri: giocare a pallone, essere bambini in modo autentico. Riuscì a dimostrare alla Comunità, con i fatti, che era possibile incamminarsi verso un altro modo di vivere che non fosse permeato di violenza.
Una delle esperienze più belle era confessarsi da lui.
Andavi li, parlavi con lui e PPP, che sta per Padre Pino Puglisi, mentre ti confessavi se ne stava sempre in
silenzio ma assumeva dentro di sé tutte le emozioni che tu gli stavi trasmettendo. Non ti dava mai la ricetta per risolvere i problemi, ti regalava un libro e ti faceva capire che non spettava a lui ma a te trovare la soluzione, ma in quella circostanza ti diceva anche: “Io comunque ci sono: decidi tu ma arriviamoci insieme”.
Lui era accanto a te tutte le volte che ne avevi bisogno e senza diventare dipendente da una sua opinione diventavi autonomo e quindi adulto.
Me lo ricordo a scuola: durante l’intervallo passeggiava nei corridoi e rispondeva alle domande dei ragazzi. Non gli piaceva la sala professori: diceva che “era piena di professori”. Quel suo modo di camminare lungo i corridoi era un modo per evangelizzare anche durante l’intervallo. Don Pino invitava gli studenti della Palermo bene ad andare al Brancaccio, quartiere di cui spesso non conoscevano nemmeno l’esistenza.

Dovevano giocare a pallone, fare catechismo, aiutare il “parrino” nel Centro Padre Nostro, da lui fondato e finanziato con i soldi dello stipendio di insegnante di religione. Mi ricordo ancora la prima ora di religione con don Pino, si era presentato con una scatola di cartone, l’aveva messa al centro dell’aula e aveva chiesto che cosa ci fosse dentro. Nessuno aveva azzeccato la risposta. Poi lui stesso era saltato sulla scatola e l’aveva sfondata. “Non c’è niente. Ci sono io, che sono un rompiscatole”. Ed era vero.

Uno che rompe le scatole in cui ti ingabbiano, le scatole dei luoghi comuni, le scatole delle parole vuote, le scatole che separano un uomo da un altro.

(dall’intervista di Angelo Giordano a Rosaria Cascio allieva di Don Pino Puglisi)