Don Bosco: il Santo che educò con gli occhi di Dio

Solo un educatore di giovani. Nella vita dell’oratorio di Don Bosco c’è un discorso pedagogico ricorrente: l’allegria, sarà questo il modo di vivere tra i giovani di Don Bosco, in cortile, nella scuola, nella chiesa, nelle ricreazioni, nelle passeggiate, nelle recite, nelle premiazioni, nelle feste, nei rari castighi, nello studiare e nel lavorare.

Per lui, gli educatori “come padri amorosi parlino, servano da guida ad ogni evento, diano consigli e amorevolmente correggano, che è quanto dire: mettere gli allievi nell’impossibilità di commettere mancanze. L’educatore potrà parlare con il linguaggio del cuore sia in tempo dell’educazione, sia dopo di essa. L’educatore guadagni il cuore del suo protetto e potrà avvisarlo, consigliarlo e anche correggerlo”.

Questa è la magna charta della pedagogia dei Salesiani: dare il cuore e guadagnare il cuore dei giovani per esercitare un’efficace opera educativa. Don Bosco soleva ripetere che l’educazione è un fatto del cuore. Non si educano i giovani se non li si ama. Amate le cose che i giovani amano e i giovani ameranno le cose che gli educatori amano. In ogni attività ed esperienza l’educatore presti una diversa attenzione ai singoli giovani secondo il carattere, i difetti, le virtù, le modalità di azione e reazione; osservi e rifletta su tutto ciò di cui ha bisogno il giovane o la giovane affinché raggiunga la maturità e la realizzazione.

Il sistema educativo di Don Bosco si appoggia su tre pilastri: la ragione, che poi è la ragionevolezza, senza gli irrazionali modi di imporre, di reprimere, di castigare; la religione, educare ai valori fondamentali della vita, curare la formazione umana, secondo i criteri della libertà, della solidarietà, della dignità personale, della sensibilità agli altri; l’amore che è detto in modo più espressivo, completo e comprensibile col termine di amorevolezza, ovvero la presenza in mezzo ai ragazzi; una presenza amabile, attenta, gradita; senza la presenza, senza l’assistenza vigile e attenta tra i ragazzi l’opera dell’educazione è monca. Alla ragione spetta primariamente il ruolo di analizzare le situazioni in rapporto alle disponibilità e ai soggetti, in modo da poter stabilire tempi e modalità di realistiche previsioni e quindi operare scelte di strumenti adatti al raggiungimento degli obiettivi prefissati. Alla religione compete l’offerta di mezzi e sussidi peculiari, che, mentre consolidano l’orientamento di fondo, aprono nuove possibilità e canali per un’accelerazione dei processi formativi. All’amorevolezza tocca tessere il canovaccio di relazioni interpersonali e la rete di comunicazioni sintonizzate, e perciò efficaci, che consentono la creazione e il mantenimento di un ambiente di familiarità.

In questa prospettiva si potrebbe dire che la ragione indica la strategia da seguire, l’amorevolezza ne segnala la tattica e la religione gli obiettivi primari, cui guardare ineludibilmente.

Punto di partenza è la convinzione che tutti i giovani sono educabili al bene, perché portano i germi di bontà.

Il problema è trovare l’aggancio per un dialogo costruttivo tra educatore ed educando. Don Bosco è pieno di fiducia, convinto com’è che “ordinariamente con la riflessione si riducono tutti i giovani a riconoscere i propri mancamenti ed a correggerli” e che “in ogni giovane, anche il più disgraziato, ci sia un punto accessibile al bene e dovere primo dell’educatore è di cercare questo punto, questa corda sensibile del cuore e di trarne profitto”.

Suggerisco la visione, in streaming, TV 2000, trasmissione “Bel tempo si spera”, puntata del 31 Gennaio 2019, parla di Don Bosco, il patrono dei giovani, Suor Elena Massimi delle Figlie di Maria Ausiliatrice.