Donne rinate

di Simonetta

Sorridi donna, sorridi sempre alla vita. Sorridi agli amori finiti

Sorridi ai tuoi dolori, sorridi comunque. Il tuo sorriso sarà luce per il tuo cammino, faro per naviganti sperduti

Alda Merini

Per le donne riuscire a riscattarsi da episodi di sfruttamento, maltrattamento e violenza fisica, verbale, psicologica non è mai impresa facile. Tranne poche eccezioni, di base sono lasciate da sole, donne che si ritrovano condannate a un inferno senza fine.

Abbindolate dalla promessa di una vita dignitosa in un mondo apparentemente ricco, dove sembra esserci la possibilità di sviluppare il proprio talento, si trovano in un incubo senza fine visto che i carcerieri sfruttano la loro condizione di clandestinità e illegalità.

Due storie di illusioni.

A trent’anni dallo sbarco della Vlora… In un passato neanche troppo lontano, Esmeralda ha lasciato l’Albania. Non avrebbe mai voluto andare via…ma l’Italia avrebbe potuto significare il sogno di un futuro insieme al suo ragazzo, lontano dalla guerra fredda che imperversava nel suo Paese. Sogno infranto dopo due settimane: proprio l’amore della sua vita l’ha costretta a stare sulla strada. Di giorno restava segregata in casa, di sera sotto controllo del ragazzo era costretta a prostituirsi. Un drammatico destino, che muta grazie ad un incontro inaspettato: incrociare sulla propria strada le operatrici dell’unità di strada della Caritas Ambrosiana, che l’hanno sostenuta e protetta e che hanno permesso alla donna di iniziare una nuova vita.

Caroline, 19 anni, viene dalla regione del Delta in Nigeria. Come migliaia di ragazze, è caduta ingenuamente nella rete dei trafficanti che, promettendole di continuare gli studi da infermiera e trovare un lavoro dignitoso in Europa, si sono appropriati del suo presente e del suo futuro.

Da quel momento Caroline ha perso ogni diritto sulla sua vita: sono cominciati gli abusi e le violenze. Ad Agadez in Niger, uno degli snodi principali per il business della schiavitù sessuale, è stata venduta con altre ragazze ad un bordello locale. Successivamente i suoi carcerieri l’hanno portata in Libia, rinchiudendola in prigione insieme a 150 disperati e costringendo sua sorella a pagare il riscatto di 600 dinar libici. Acquistata la libertà, raggiunge Tripoli dove conosce una donna del suo paese che la aiuta ad arrivare a Sabrata: da qui può tentare la traversata che è l’unica alternativa per uscire viva dalla Libia, un paese che viene definito “un buco nero dal punto di vista umanitario”.

Perduti tutti i loro sogni, diventano un esercito di invisibili ai margini della nostra società che troppo spesso se ne occupa solo per questioni di decoro urbano, più che di tutela dei diritti umani, in balia di esseri senza scrupoli nell’indifferenza di chi la usa a poco prezzo.