Il Segreto della felicità…

La felicità molto probabilmente è il desiderio che accomuna maggiormente gli esseri umani. L’uomo e a maggior ragione il Credente è stato creato per essere felice. Ci siamo mai chiesti cos’è per noi la felicità?

Per rispondere a questa domanda decido di affidarmi ad uno scritto di Alessandro D’Avenia che come sempre ci viene in aiuto in maniera sicuramente non scontata. “Esiste una risposta capace di unire le diverse culture? Io direi: «la vita eterna», che non è la vita dopo la morte, ma quella di ogni giorno che diventa eterno. Marco racconta al capitolo 10 del suo vangelo, che un giorno un ragazzo placcò letteralmente Cristo per chiedergli: «Che cosa devo fare per avere la vita eterna?». Voleva il manuale di istruzioni per la felicità: non si riferiva alla vita dopo la morte, che non era nel suo orizzonte umano, ma a una vita felice subito, una vita piena, dato che la sua, pur essendo ricco come specificato dal testo, non gli bastava. In italiano potremmo dire che la vita degli orologi è quella dell’essere viventi, mentre la vita eterna è quella dell’essere vivi. Per la felicità non basta essere viventi, occorre essere vivi: se infatti avessimo la possibilità di scegliere se passare i nostri anni sedati e senza soffrire, o affrontando tutto ciò che la vita da svegli comporta, credo che sceglieremmo la seconda. I contadini romani usavano l’espressione felice per le piante: Arbor Felix era semplicemente l’albero da frutto, la pianta che raggiunge il suo scopo. Se la felicità è quindi di chi genera il suo frutto, la vita eterna, è quella in cui questo accade in ogni istante. È felice, ha vita eterna, chi da frutto sempre, in qualsiasi condizione. Ma questo come è possibile? Nel capitolo successivo a quello del ragazzo ricco, Marco racconta un altro episodio che potrebbe in qualche modo spiazzarci. Cristo, affamato, vede un fico rigoglioso, si avvicina ma non trova frutti e, benché il testo specifichi che non era stagione di raccolta, Cristo maledice l’albero. L’indomani passando di lì i discepoli vedono che l’albero è stecchito. Se si fosse voluto raccontare un miracolo scontato, si sarebbe inventato che Cristo trova i fichi benché non sia la stagione, e invece fa il contrario: lascia un segno. Alla luce di tutti i passi in cui Cristo paragona la vita umana a un seme chiamato a dar frutto, credo che volesse rendere evidente ai suoi qualcosa che riguardava loro e non la pianta: a differenza degli alberi per gli uomini è sempre tempo di dar frutto, cioè di essere felici, non dipende dai giorni, stagioni, condizioni esteriori, ma da una scelta fatta istante per istante. Ma allora questa vita eterna che cos’è? Tutto ciò in cui io genero vita, do frutto: quando creo e quando amo, le due caratteristiche che Cristo attribuisce al Padre e quindi a sè come uomo. Credenti o no, la paternità di cui parla Cristo è un modo di indicare la capacità di generare continuamente, e la condizione di figlio è quella di chi riceve «sempre» questa vita per poi generarne altrettanta dando «sempre» frutto. Infatti a quel ragazzo che gli chiede come avere la vita eterna risponde di lasciare tutto e di seguirlo, cioè di vivere la sua stessa vita di «figlio» e di non perdere tempo dietro a cose che aveva già verificato essere insoddisfacenti. Essere felici significa far bene e con amore quello per cui siamo fatti e far essere nel bene e nell’amore quelli per cui siamo fatti. La felicità è «vita eterna» se riesco a creare secondo i miei talenti ed amare secondo le mie possibilità, permettendo alla vita di raggiungermi e di moltiplicarsi attraverso di me, con tutto quello che questo comporta, essere felici in fondo è essere vivi”.