Una particolarità dell’artista è di non essere limitato nel tempo, perché la sua arte parla a tutte le epoche, l’artista non è limitato neppure dallo spazio, perché la bellezza può toccare in ciascuno ciò che ha di universale, specialmente la sete di Dio, superando le frontiere delle lingue e delle culture. Se è autentico, l’artista è capace di parlare di Dio meglio di chiunque altro, di farne percepire la bellezza e la bontà, di giungere al cuore umano per far risplendere in esso la verità e la bontà del Risorto.
Papa Francesco
Educare al bello significa insegnare a saper cogliere quel qualcosa che ci arricchisce, ci completa, ci aiuta a crescere. Le immagini ci aiutano in questo perché hanno una funzione provocatoria, suscitano reazioni decise, sollecitano in noi un nuovo modo di guardare le cose, talvolta ci portano ad immedesimarci aiutandoci ad entrare nel Mistero. Gli affreschi nella storia hanno sempre avuto questo scopo ed il fatto che la vittoria del Risorto sulla morte sia stata celebrata da molti grandi artisti ci richiama al fatto che un avvenimento così grande, non poteva solamente essere scritto e raccontato attraverso le parole. Il dipinto di Piero della Francesca “Resurrezione di Cristo”, custodito nel museo civico di Sansepolcro, mi ha sempre aiutato a percepire il legame tra la Resurrezione di Cristo e la mia vita, ogni volta guardandolo, è come se mi sentissi catapultato nella scena, ne facessi parte rivestendo un ruolo ben preciso. Nei quattro Vangeli si descrive un sepolcro scavato nella roccia, davanti al quale si rotola una grande pietra, nel dipinto però c’è un sarcofago marmoreo simile a una tomba romana di un personaggio d’alto rango. Sedute davanti al sarcofago, le quattro guardie dormono, non si accorgono del miracoloso evento appena accaduto. Anziché ascendere in cielo, Gesù sembra scavalcare il sarcofago con quel piede sinistro poggiato sul bordo. Egli ha un corpo atletico, i segni dei chiodi e la ferita sul costato, infatti, sembrano messi in secondo piano rispetto alla posa e allo sguardo deciso e pensieroso di Gesù, coperto non più dal bianco sudario della morte ma da un manto purpureo, come viene descritto nel capitolo 63 del libro di Isaia, dove si parla del Signore che viene con le vesti tinte di rosso e che avanza nella pienezza della sua forza. L’evento della Resurrezione avviene all’alba della domenica, Piero raffigura un cielo albeggiante davanti al quale si apre un paesaggio con diversi edifici. Con la sua Resurrezione, Cristo spacca in due la storia del Creato e la Trasforma: alla sua destra, è ancora inverno e gli alberi sono spogli; alla sua sinistra, la natura è rigogliosa poiché è giunta la primavera “Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (AP 21,5). Insomma, l’annuale rinascita della natura è messa in rapporto con il ritorno in vita del Salvatore. L’energia che si propaga dagli occhi di Cristo prende possesso dell’intero dipinto, Piero riesce nella sfida più alta per un artista: dare forma all’invisibile. Dipinge un istante di sospensione nel movimento ascensionale di Gesù creando una tensione animata da una forza centripeta il cui nucleo risiede negli occhi di quell’uomo che, risalendo dal sepolcro, getta lo sguardo nel mio e mi trascina a se, con se, al centro della storia. Un magnetismo tale da non sapere più se l’opera sia quella che sto vedendo io sul muro, io che da quel muro vengo fissato o io e lui che ci stiamo guardando. La Resurrezione è un avvenimento che accade ora, in diretta, coinvolgendo chi osserva. È presenza che si afferma sul “ fuoriluogo” che vorrebbe dominare il mondo dentro e fuori dall’affresco. Le cose stanno così, scacco matto alla morte, nient’altro da aggiungere se non il desiderio di restare per sempre in quello sguardo che cambia la mia vita e la Storia…