Il mio lavoro mi fa conoscere me stesso e gli altri?

di Ileana

Incontro con Padre Natale Brescianini

Il 15 febbraio scorso, in un incontro a Magnago, organizzato dal Centro Culturale Don Francesco Checchi, abbiamo avuto l’opportunità di conoscere Padre Natale Brescianini. Nato in provincia di Brescia nel 1971, entra in seminario a 11 anni e nel 2003 emette la solenne professione monastica nella Comunità Benedettina Camaldolese, presso l’Eremo di San Giorgio a Bardolino (VR). Viene mandato dai superiori in California per un anno. Al suo ritorno chiede di poter fare un’esperienza lavorativa e lavora come impiegato in un’Azienda veronese per due anni, fino al 2006. Dal luglio 2007 vive presso l’Eremo di Monte Giove a Fano e nel dicembre 2008 viene ordinato presbitero.

L’amore alla Regola di San Benetto e l’interesse per i lavoratori gli fanno scoprire il libro di Folador “L’organizzazione perfetta”. Conosce Folador e accetta di impegnarsi nella realizzazione di percorsi formativi che si rifanno alla Regola di San Benedetto. Ottiene la certificazione di Coach con credenziale ACC di ICF. A chi gli chiede il significato del suo impegno risponde: “Il mio obiettivo non è convertire. La gente cerca un senso e io cerco di offrirlo nel posto di lavoro, dove trascorre gran parte del tempo.”

Durante la serata Padre Brescianini fa spesso riferimento alla Regola, sottolineando che a interessarlo non sono tanto le indicazioni che San Benedetto dà ai suoi monaci, quanto le domande che si pone e il metodo che usa per rispondere. Gli orari che i monaci devono rispettare, per esempio, derivano dal fatto che non essendoci l’elettricità, era ragionevole dormire dal calare del sole fino all’alba. Il nome stesso di monaco deriva da monos che significa unificato, uno che capisce chi è e volge tutta la sua energia al bene. San Benedetto dice che il monaco che riordina gli attrezzi per il lavoro, deve trattarli come si devono trattare gli oggetti sacri, perché come il sacerdote nella messa rende grazie a Dio, così fa anche chi lavora.

Il lavoro non è un castigo ma il mezzo perché un uomo sia unificato, pienamente se stesso. Dopo la pandemia tanti giovani chiedono al lavoro qualcosa d’altro: non basta che il lavoro sia ben retribuito e abbia una giusta organizzazione, occorre che il lavoro sia più umano. Alla domanda su cosa ci rende più umani, Padre Brescianini risponde delineando quattro dimensioni: la spiritualità come capacità di farsi le domande sul senso di sé e della realtà; il desiderio come capacità di stupirsi e di cercare risposte; l’imperfezione come capacità di trattare il proprio limite e gli ostacoli come risorsa; la libertà: non solo liberi da e liberi di, ma anche liberi per e liberi con.

Sono aspetti del vivere che investono qualsiasi azione che la persona compie e non solo nel lavoro in azienda. Tra le domande che gli vengono poste, una riguarda la libertà: un concetto che allarga il comune ‘fare quello che si vuole’ per fare posto alla concretezza del vivere insieme in un nuovo e positivo legame tra le persone.