Educare a 360°

di Monica e Martino

Ci presentiamo. Siamo Monica e Martino, 41 anni, genitori di 3 figli di 14, 11 e 5 anni. Già qui potremmo aver concluso il nostro articolo perché essere genitori oggi significa essere educatori. Non ci si può più improvvisare e l’idea che “tanto poi si impara facendo” non resiste più. Bisogna formarsi anche per essere genitori. Ma noi non ci accontentiamo di questo. Per noi essere educatori è anche un lavoro a tutti gli effetti. Entrambi laureati in scienze dell’educazione, viviamo l’avventura pedagogica coi disabili (Martino) e sui banchi di scuola (Monica).

Io Monica sono docente di religione in una scuola secondaria di primo grado. In questi 14 anni ho riscoperto nei ragazzi un disperato bisogno di essere ascoltati.

“Buongiorno ragazzi, come state?” Si apre un mondo di racconti; dal risultato delle partite, alla tensione per le verifiche, alla ragazza con gli occhi bassi per un’incomprensione con un’amica, all’ultima trovata dello youtuber del momento. Tu devi essere sul pezzo e lasciarti coinvolgere. Poi c’è sempre qualcuno che risponde: “Lei, prof., come sta?” Lì intuisci quanto questi ragazzi siano capaci di empatia, desiderosi di costruire. Non sono solo attaccati a smartphone e videogiochi. Dare loro uno spazio per parlare di sé, abbatte i pregiudizi e apre alla crescita di sé stessi. Insegnare non è più solo trasmettere ma è provare a capire quello che si muove nella testa e nel cuore di un/una ragazzo/a. E’ camminare con loro per guardare a una direzione. Stare tra i banchi di scuola oggi vuol dire saper gestire fragilità dovute a storie familiari frantumate, amicizie escludenti, fallimenti che non vengono accettati e che portano a gesti aggressivi. Educare a scuola è aiutare i ragazzi a trarre fuori. Per me insegnare è collegare le conoscenze alla realtà che un ragazzo/a vive; insegnare è più che mai oggi saper essere in relazione. È un dono essere diversi e bisogna lavorare per costruirlo. L’educazione non è spontaneità ma va pensata. Talvolta i genitori demandano alla scuola il compito educativo. Spesso concedono, non danno delle priorità, va sempre bene tutto. L’ego smisurato prende il sopravvento e quando i ragazzi si trovano in una comunità come quella scolastica bramano all’arrivare primi, non curandosi dell’altro/a. La scuola ha bisogno delle famiglie! I genitori non devono sottovalutarsi: sono il primo punto di riferimento per i loro figli. Educare è l’avventura più sorprendente, non dobbiamo arrenderci.

Io Martino lavoro in un centro diurno educativo per disabili. Nel mio lavoro, più che in altri contesti, è forte la convinzione che il tuo compito è restituire all’altra persona la dignità di essere capace di fare qualcosa. Io sto tirando fuori da te quello che già sei ma che ancora non ti è stato permesso di utilizzare. Non sono io a dirti chi tu sia o cosa sia giusto fare. Io aiuto solo a conoscerti, a riscoprirti. Nel mio contesto sei abituato a lasciar fare e lasciarti guidare da chi hai di fronte. Educare è lasciarsi condurre dall’altro. E’ partire dalla persona. Noi lavoriamo per far riscoprire le autonomie e restituire la dignità di saper scegliere. Utilizziamo modalità diverse che seguano la persona nella sua unicità. Svolgiamo attività ludiche, altre legate alle abilità sensoriali, al saper distinguere. Educare è una sorpresa.

Cose che noi abitualmente diamo per scontate, si rivelano delle scoperte. L’educatore lavora per essere inutile. Una delle cose importanti che l’educazione dovrebbe tornare a fare è insegnare a gestire la frustrazione. Non aver paura di dire no, e rimanere fermi in quella posizione.

Nella nostra società dilaga la cultura del poter avere tutto, del fare ciò che si vuole. Dobbiamo insegnare ai ragazzi al “non tutto va come vuoi”, “si può sbagliare” ma si può ricominciare, ripartire. La mia libertà si incontra con quella dell’altro/a e con essa costruiamo, impariamo a rilanciare.